In Il Bernina, 14 gennaio
2007, e in Il Grigione Italiano, 18 gennaio 2007.
Un parere autorevole su
Un'ora d'oro della letteratura italiana in Svizzera
L'11 settembre scorso, in occasione della presentazione a Bellinzona
del libro di Andrea Paganini Un'ora d'oro della letteratura italiana in
Svizzera (Dad, Locarno), oltre all'autore, sono intervenuti Michele Fazioli, che
ha firmato la prefazione, e Mauro Novelli, professore di letteratura italiana
all'Universit degli Studi di Milano e curatore dei "Meridiani"
Mondadori su Andrea Camilleri e Piero Chiara.
Siamo lieti di pubblicare la trascrizione dell'intervento di
quest'ultimo.
Prima di tutto tengo a ringraziare Andrea Paganini, l'Editore Dad, la
Biblioteca
Cantonale e Michele Fazioli per avere voluto qui un ricercatore
milanese. In questa
scelta si rinnova in fondo lo slancio che anim l'impresa di Felice
Menghini, su cui
verter questa serata e questa mezz'ora di critica italiana in Svizzera
non d'oro, per
carit! Dico questo per parafrasare il bel titolo del volume di Andrea
Paganini,
poschiavino quindi conterraneo di don Menghini , poeta come il
medesimo don
Menghini , poi giovane e vulcanico, a giudicare dalla quantit di
lavori conclusi e in
progetto, come era giovane e vulcanico don Menghini, che alla cura delle
anime
aggiungeva mille altre occupazioni: cinema, caccia, pesca, alpinismo, e
soprattutto una
passione bruciante per la letteratura. Ma giovani, giovanissime erano
anche le figure
che danno nerbo a questo libro e alla storia della collana messa in
piedi nella tipografia
famigliare dei Menghini a Poschiavo: Chiara, Vigorelli, Borlenghi erano
ad esempio
sui trent'anni, Remo Fasani aveva poco pi di vent'anni, e cos via.
Cinque furono in tutto i volumi usciti nella collana "L'ora
d'oro". Vale la pena di
ricordarli brevemente: il libro di poesie Incantavi di Piero Chiara;
un'altra raccolta di
liriche, Senso dell'esilio di Remo Fasani; poi due
antologie, Rime scelte dal Canzoniere di
Petrarca (scelte da Aldo Borlenghi) e Il fiore di Rilke del medesimo
Menghini; infine
una monografia critica di Emilio Citterio su Giovanni Bertacchi, un po'
eslege rispetto
al resto delle opere. Dunque: due antologie, due raccolte e una
monografia.
In prima battuta, occorre sottolineare la particolare condizione in cui
si trovavano
a scrivere Vigorelli, deus ex machina sotteso all'intera impresa,
Chiara e Borlenghi: vale
a dire la condizione di esuli, oppressi come molti dal problema della
liberazione dai
campi di raccolta o di lavoro (l'alternativa era possedere 5'000 franchi
depositati in
banche svizzere oppure ottenere una garanzia da qualche cittadino
elvetico). Questi
intellettuali esuli lavoravano moltissimo, anche per necessit, si
capisce; ma c'era il
problema di non poter esercitare attivit lucrative, tra cui, a rigore,
sarebbero dovute
rientrare anche le collaborazioni giornalistiche. In ogni modo finivano
coll'essere una
impressionante fucina di proposte, ben testimoniate dal carteggio che
Paganini mette
in primo piano nel suo libro. D'altronde anche il momento era molto
particolare, un
momento in cui i libri italiani, salvo qualche eccezione, non potevano
pi passare il
confine; la produzione libraria intanto nella penisola era crollata dai
circa 10'000 titoli
nel 1942 ai 2'000-2'500 nel 1944. Ancor peggio le cose andavano in campo
letterario,
dove si era passati da 2'500-3'000 titoli a 600 appena. Poi c'erano
grandi difficolt
nell'approvvigionamento della carta. Non parliamo del problema della
censura o dei
bombardamenti, che distrussero gli stabilimenti di Hoepli e di molti
altri editori
italiani. Lo stesso Mondadori fugg in Svizzera dinnanzi alla
progressiva
"socializzazione" dell'editoria promossa dal regime di Sal,
con tanto di requisizioni.
Ecco dunque le circostanze nelle quali scatur la "fucina di
proposte" che prese
forma in quel momento particolare in Svizzera. Nel libro di Andrea
vediamo per
esempio Chiara suggerire a don Menghini di stampare edizioni di classici
(una cosa
che, altrimenti, ci stupirebbe), di stampare Machiavelli, di stampare
Foscolo, di
stampare magari anche un'antologia di poeti italiani: quell'antologia
che Chiara riusc
a mettere insieme solo un decennio pi tardi, con l'aiuto di Luciano
Erba e sotto l'ala
protettiva di Luciano Anceschi un'antologia decisiva nella poesia
italiana del
Dopoguerra, intitolata Quarta generazione, nella quale apparvero i
migliori poeti
trentenni a met Novecento, come Zanzotto, Pasolini, Volponi, Orelli.
La situazione messa a fuoco nel libro di cui parliamo stasera, va detto,
per
diversa rispetto a quella di un'altra e pi nota iniziativa editoriale
in campo poetico
nella Svizzera italiana di quegli anni: sto alludendo alla collana
promossa a Lugano da
Pino Bernasconi, nella quale in tempo di guerra apparvero opere
importanti di poeti
affermati come Saba e Montale []. Fa bene Paganini a sottolineare un
dato che
potrebbe sembrare meramente quantitativo, ma che invece fondamentale,
intendo il
dato relativo alle tirature. Le opere di Saba e Montale a Lugano vennero
tirate in 150-
200 copie; Menghini, delle cinque opere cui accennavo prima, arrivava a
tirare 300 e
persino 500 copie (e poi anche a smerciarle, se non del tutto, quasi).
Questi numeri
oggi possono far sorridere, dinnanzi ai milioni di copie dei
best-seller, per denotano
il coraggio dellimpresa, se si tiene conto del fatto che oggi le
raccolte di poesie molto
di rado superano le 2000 copie vendute. Tra l'altro i libri
dell'"Ora d'oro" costituiscono
oggi una vera e propria rarit antiquaria; prima di venire qui ho
consultato diversi
cataloghi e davvero sono introvabili, e rarissimi anche nelle
biblioteche italiane.
Ci detto, bisognerebbe tuttavia chiedersi se possono bastare i cinque
volumi in
questione a far considerare quell'ora "lora d'oro"
scoccata a Poschiavo nel 1945
davvero dorata per la letteratura italiana in Svizzera. Io credo di s.
Credo per che sia
stato un momento importante anche per la letteratura svizzera di lingua
italiana.
Anche a me parsa commovente la passione e l'impegno con cui don
Menghini, da
una valle isolata, ha portato avanti il progetto di una collana
all'altezza dei tempi (e
quali tempi!). Penso per esempio a quali reazioni si potevano avere
allora in Ticino e
nei Grigioni italiani dinnanzi alle sconcertanti vicende dell'Italia,
dopo anni di
irredentismo fascista. E poi dinanzi all'armistizio, Sal, la
Resistenza Posso darvi
anche un piccolo esempio di questo, a proposito di Piero Chiara. Chiara,
come noto,
per tutta la vita si spese per rinnovare i rapporti culturali tra
l'Italia e la Svizzera. Per
persino lui, da giovanissimo, ai tempi della guerra d'Etiopia, era
arrivato a lamentare
in un pezzo che ho trovato su un periodico luinese l'intedeschimento
della Svizzera
italiana; diceva di scrivere in nome della profonda voce del vincolo
di sangue e di
tradizione che ci lega in un unico anelito verso la grande Patria.
Tutt'altro, naturalmente, il piglio con cui Chiara accolse in seguito
l'esilio in
Svizzera, ci di cui parla Andrea Paganini: un esilio giunto quando
ormai da tempo si
era allontanato da simili posizioni, avvicinandosi piuttosto a un
cattolicesimo liberale.
Per capire tutto questo pu tornare utile una citazione molto bella da
un suo articolo,
che trovo nel libro di Andrea:
L'incontro con rifugiati d'altre lingue, dai francesi ai tedeschi e
non mancarono
gl'inglesi, i russi, gli olandesi, i polacchi, i greci , la convivenza
nella medesima legge
e l'attesa della stessa sorte, con l'abbandono ormai di ogni fierezza
nazionale annullata
nell'incertezza delle nuove frontiere che la guerra avrebbe segnato, ci
consent di sentir
vivere insieme qualche cosa di nuovo che poteva essere l'Europa.
Ecco: una collana come "L'ora d'oro" nasce anche grazie a un
forte legame, vorrei
dire a una "solidariet generazionale", basata per sull'idea
di rinnovamento della
cultura italiana considerata nel suo insieme []. Da questo libro emerge
anche
l'importanza che ebbero i fuoriusciti italiani per sprovincializzare una
cultura che, in
ambito poetico (ne ha scritto anche Giorgio Orelli), all'epoca era
rimasta a Carducci, a
Chiesa, a Bertacchi. In particolare emerge l'attenzione con cui la
cultura letteraria
svizzera guardava alle novit apparse negli anni Trenta in campo
italiano (penso in
particolare all'ermetismo), proprio nell'intento di svecchiarsi. Ma
daltro canto si sente
la verve, l'entusiasmo, la voglia di fare e di esprimersi liberamente da
parte di
intellettuali che in Italia a lungo avevano dovuto tacere le proprie
idee e la propria
avversione al regime fascista.
Don Menghini, bene sottolinearlo, in quel frangente si appoggi
soprattutto a
Giancarlo Vigorelli, che era un critico noto e apprezzato gi alla fine
degli anni Trenta.
Mi ha colpito molto la fiducia e la grande apertura mentale del
sacerdote poschiavino
di fronte alle proposte non di rado ardite avanzate da Vigorelli con
"autorevole
intraprendenza", per parafrasare quello che scrive Paganini. Il
carteggio fra i due
mostra con chiarezza per esempio come Vigorelli volesse
"iniziare" Menghini alla lirica
moderna, quella detta "ermetica" (con qualche generalizzazione
eccessiva). In
particolare, aleggia il nome di Vittorio Sereni; Vigorelli, amico di
Sereni, lo fa leggere a
Menghini che ne resta colpito. E qui devo dire che Andrea Paganini
interpreta con
equilibrio e acume questo straordinario materiale documentario specie
epistolare
di cui venuto in possesso in modo romanzesco [], grazie a un fiuto da
segugio che
qualsiasi ricercatore dovrebbe invidiargli.
Naturalmente, aspetto di poter leggere l'intero carteggio. Nel libro in
esame,
intanto, importanti stralci di queste lettere sono messi al servizio di
un'opera di analisi
critica dei testi apparsi nella collana, che spesso vengono riportati,
corredati di precise
notazioni. Perch bisogna dire che le poesie di Chiara, cos come quelle
di Fasani, sono
commentate con finezza e propriet, da tutti i punti di vista, tematico,
metrico, retorico
e con un occhio sempre attento alle fonti. Questo vale naturalmente
anche per le
poesie di Menghini (tra le quali bellissima mi parsa Contemplazione
della mano sinistra,
ispirata da una Crocifissione di Grnewald). Ma informati e
precisi sono anche i
riferimenti e i confronti tra la traduzione di Rilke ad opera di
Menghini e quelle di
Errante, di Cacciapaglia, di Pintor. Menghini spesso non sfigura nei
confronti, tanto
che queste traduzioni costituiscono probabilmente una delle sue opere
pi importanti
(specie se si guarda alle date: siamo negli anni Quaranta).
Condivisibili, infine, sono anche le chiose di Paganini all'interpretazione
di
Petrarca che d Aldo Borlenghi nel volume antologico che Menghini
stamp. Bisogna
dire che il lavoro di Paganini importante anche perch riporta
l'interesse su momenti
cruciali nella formazione di letterati oggi misconosciuti in Italia, ma
che hanno ancora
qualche motivo di interesse, come si pu dire per Borlenghi, che fu
critico letterario,
amico di Ungaretti, poeta vicino all'ermetismo, a lungo docente presso
l'Universit
Statale di Milano.
In effetti questo libro particolarmente importante soprattutto per la
cultura
lombarda e milanese tanto che, senza troppe forzature e senza alcun
campanilismo,
lo si sarebbe potuto intitolare Un'ora d'oro della letteratura lombarda
in Svizzera. Questo
ci riporta ancora a Vigorelli e Sereni, a questi ragazzi del 1913,
perch poi erano tutti
della medesima classe "classe di fero battuto" diceva
Vigorelli al proposito. Sereni
anche il punto di riferimento fondamentale nel primo volume stampato
nell'"Ora
d'oro", cio Incantavi di Chiara (il quale conosceva
Sereni fin dall'infanzia). Vigorelli e
Sereni, aggiungo, erano gi noti all'altezza della Guerra (Sereni aveva
fatto stampare
Frontiera, che era diventato il libro di riferimento per una
generazione), mentre Chiara
era ancora un oscuro aiuto cancelliere che lavorava a Varese; allattivo
aveva per lo pi
prose d'atmosfera, insieme a pezzi illustrativi del patrimonio artistico
verbanese.
Chiara venne invitato da Vigorelli a proporre delle poesie per questa
collana neonata,
per cui trasse da un quaderno una decina di poesie che aveva composto
nei primi anni
di guerra, le mise assieme ad altri testi scritti in Svizzera nel
periodo dell'internamento
e arriv a 26 liriche. Intitol la raccolta Incantavi, un toponimo molto
evocativo, che
rimanda a una localit dietro Luino, caricata di una suggestione
tipicamente ermetica,
com' ermetica questa malinconia sottile che impregna quasi tutte le
poesie della
plaquette, che Chiara dedic alla moglie, perch all'epoca
sperava di poter riunire la
famiglia in Svizzera. Chiara, giovanissimo, aveva sposato una ragazza di
Zurigo, Jula
Scherb, mentre in un collegio non distante da Zurigo viveva allora
Marco, il figlio che
la coppia aveva avuto nel 1937.
Quello che emerge dal carteggio con Menghini, chiamato da Paganini a
illuminare
la genesi di Incantavi, un Chiara molto lontano dall'immagine
consueta dello scrittore
luinese: c' un lato austero, mesto, generalmente trascurato da chi si
occupato di
Chiara e che conferma nell'idea che la sua personalit fosse molto
complessa e
sfuggente; non del tutto espressa neppure in queste lettere, nelle quali
non so quanto
emerga di altri momenti del soggiorno in Svizzera che sono ricostruibili
da altre fonti
o di cui Chiara scrisse in seguito.
Forse ancora pi interessanti sono le lettere relative al periodo
successivo al
rientro di Chiara in Italia, cio al luglio del '45, un momento cruciale
per lo scrittore
luinese: il momento della separazione definitiva con la moglie, e
siamo appena
prima della crisi spirituale che lo mut profondamente, proprio negli
anni della morte
di Menghini. E anche di questo mi sembra di capire cՏ forse qualche
traccia
nell'epistolario tra Chiara e Menghini. Va per detto che Chiara, dopo
essersi
allontanato dalla fede, continu per tutti gli anni Cinquanta a
gravitare intorno a dei
circoli cattolici. Tra l'altro Andrea Paganini nota giustamente
l'importanza che ebbero
tre sacerdoti per la sua formazione letteraria: don Menghini, don Leber
del "Giornale
del Popolo" e poi don Pisoni in Italia (il direttore
dell'"Italia").
"L'ora d'oro" sostanzialmente una collana di lirica. Questo
l'ultimo punto che
vorrei toccare: meriterebbe qualche meditazione da un lato la centralit
che, nel
sistema dei generi, la lirica riacquista proprio in tempo di guerra;
dall'altro, il
sostanziale fallimento della poesia che mette a fuoco la tragedia del
Secondo Conflitto
mondiale (basti pensare, per contrasto, ai grandissimi poeti della
Grande Guerra che
abbiamo avuto: Ungaretti, Rebora, Tessa, Jahier).
Liriche sono le raccolte di Chiara e di Fasani. Lirico Il fiore di
Rilke messo insieme
da Menghini, lirico il Canzoniere petrarchesco di Borlenghi e
lirico anche il libro di
Citterio su Bertacchi, un poeta che, negli anni Quaranta, era gi
sostanzialmente "fuori
moda", com'era fuori moda quella sorta di "carduccianesimo
alpestre", che pure
meriterebbe ancora qualche attenzione, se non altro dal punto di vista
sociologico.
Quello di Bertacchi era stato un nome celeberrimo, presente in tutte le
antologie, dove
passava per una sorta di "Segantini della poesia", come Andrea
Paganini accenna in
nota.
Con "L'ora d'oro " abbiamo dunque un progetto editoriale
incentrato sulla lirica e
portato avanti nei pressi del "meridiano di Sondrio", che
Giovanni Papini, proprio a
proposito di Bertacchi, con una discreta ottusit aveva definito molto
poco propizio
alla poesia []. Qui non occorre neanche sottolineare il legame
millenario
indissolubile tra lirica e montagna, se non per dire che riguarda un po'
tutti i
protagonisti di questa collana. Basta scorrere le poesie di Fasani, di
Chiara. Questo
tema per fondamentale anche per Menghini, come si intravede in una
bellissima
rievocazione scritta da Chiara negli anni Settanta, sulla quale vorrei
chiudere. un
brano molto intenso, in cui lo scrittore luinese tocca corde sue
tipiche: prima una certa
scioltezza bonaria nel ritratto di un frate e poi le note pi alte, nel
finale. Siamo nel
settembre del 1946, quando Chiara venne invitato da Menghini a
Poschiavo:
Lo trovai alla stazione, che mi aspettava per accompagnarmi a casa sua,
cio alla
canonica, dietro la chiesa e di fianco all'ossario dei poveri morti.
Mi alloggi nella casa parrocchiale, assegnandomi una stanza da prete,
gelida
e spoglia, destinata ai predicatori che gli arrivavano per le quaresime.
Cenammo a
un tavolo rotondo, insieme a un frate venuto da Bergamo per tenere un
corso di
esercizi spirituali. Il cibo era semplice: minestra, uova, carne secca
dei Grigioni,
scaloppe al burro, formaggio, frutta e caff lungo. Ne toccammo appena,
Menghini
ed io, lasciando tutto al frate, che dopo aver vuotato anche il piatto
dei formaggi,
la fruttiera e il fiasco, si stese in un seggiolone con le mani
intrecciate sullo
stomaco e gli occhi, inteneriti, rivolti a un quadro della Vergine
appeso alla parete
di fronte.
Prevedendo che il frate sarebbe andato presto in estasi, don Menghini mi
port nel suo studio. Vidi che aveva messo insieme quanto poteva della
letteratura
italiana contemporanea, comprese le riviste. Era, quella stanza, la sua
seconda
chiesa, dove celebrava i riti della poesia.
Quella stessa sera tenni la mia conferenza dal palcoscenico di un
teatrino,
illuminato dalle luci della ribalta e seduto a un piccolissimo tavolo
coperto da un
tappeto a lunghe frange.
La mattina dopo ripartii per l'Italia di buon'ora mentre lui, vestito da
boscaiolo
pi che da cacciatore o da alpinista, si apprestava a partire per la
caccia in
montagna. Una sua passione, come la poesia, da portare agli estremi, con
tormento
e fatica.
L'anno dopo, d'estate, mentre da Tesserete dov'ero stato a trovare un
amico
tornavo in tram a Lugano, vidi un giornale abbandonato sopra un sedile
di
seconda classe. Lo presi e mi accorsi che era del giorno prima. Stavo
per gettarlo
dove l'avevo trovato, quando mi cadde sotto gli occhi un trafiletto:
"Ci giunge
notizia da Poschiavo che ieri, durante un'ascensione sul Corno di
Campo, don Felice
Menghini rimasto vittima di un incidente mortale".
[]
I preti morti, anche se furono poeti, si ricordano e si piangono meno
degli altri
uomini, tanto sembra sicuro e quasi prenotato per loro il viaggio
all'aldil. Sembra.
Invece, pensando al suo spirito inquieto, alle angosce che lo
attanagliavano nel
profondo senza apparire sul suo volto velato appena da un'ombra di
malinconia,
c' da credere che la morte gli sia stata difficile e ardua come la
vita, come la
poesia, come ogni cosa che cerc e intraprese nei suoi anni.